Concerto per pianoforte n. 2 op. 22

Come ebbe a notare un critico del tempo, il Concerto per pianoforte n. 2 di Saint-Saëns «comincia con Bach e finisce con Offenbach». La rima, tentatrice, riassume piuttosto bene il contenuto della partitura. Composto nel 1868 su richiesta di Anton Rubinstein, che desiderava dirigere a Parigi una nuova opera di Saint-Saëns con il musicista al pianoforte, fu scritto in diciassette giorni ed eseguito per la prima volta il 13 maggio alla sala Pleyel. Saint-Saëns racconta che, «a parte lo Scherzo, che piacque subito, [il concerto] ebbe poco successo; si ritenne che la prima parte fosse incoerente e il finale assolutamente non riuscito». Forse l’esecuzione non era stata preparata a dovere... Infatti l’opera conquistò molto presto grande fama, divenendo addirittura, per un certo periodo, il concerto per pianoforte più famoso del mondo insieme a quello di Grieg. Il suo lirismo è costante, i temi sono accattivanti e contrastati, la parte pianistica è vituosistica senza essere troppo chiassosa. Certo, la scrittura e le strutture non presentano sorprese, ma l’unità dell’insieme è estremamente efficace. L’elemento più originale è l’assenza del movimento lento: la sequenza dei movimenti è ascensionale, dal tempo moderato al rapido, dalla gravità alla leggerezza. L’Andante sostenuto si apre e si chiude con una cadenza del pianoforte, una falsa improvvisazione nello stile di Bach; nel mezzo, la scrittura pianistica ricorda Chopin, e uno dei temi è tratto da un Tantum ergo del giovane Fauré (allievo di Saint-Saëns). Il breve Allegro scherzando, agile e spirituale, è improntato allo Scherzo tutto in staccato del Sogno di una notte d’estate di Mendelssohn. Vorticosa fino alla frenesia, il Presto finale è una tarantella che sembra fare riferimento a quella di Chopin o di Rossini – più che a Offenbach, in verità.