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Elegia in fa maggiore per violino e pianoforte op. 160

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Saint-Saëns compose questo breve pezzo nel gennaio 1920, durante un soggiorno ad Algeri, e lo dedicò all’amico Charles de Galland, violinista dilettante e direttore di uno dei licei della città. Ma lo concepì anche come un omaggio ad Alexis de Castillon, come ebbe a riferire all’organista e compositore Philippe Bellenot: “Castillon, che fu uno dei miei più cari amici e la cui morte prematura costituì una grande disgrazia per la musica francese, suonava spesso una frase di otto battute che gli piaceva e di cui non si è mai servito. Ho sempre avuto l’idea di inserirla in un mio lavoro come si incastona una perla, ma avevo sempre indietreggiato di fronte a questo compito non facile”. Nell’Elegia, questa frase viene enunciata per la prima volta tra le lettere “A” e “B” della partitura, in un tempo poco più lento, dolcissimo e molto espressivo; poi la musica si anima, preparandone una nuova apparizione al registro acuto, fortissimo e appassionato. La prima citazione di Castillon è preceduta da un episodio in cui il violino canta con tranquillità una melodia accompagnata da accordi ripetuti, materiale che sarà poi riutilizzato nella coda. L’espressività non malinconica né patetica (caratteristica condivisa con l’Elegia op. 143) è forse una delle ragioni del successo di questo brano. “Ho fatto ultimamente una tournée di concerti con l’affascinante violinista Willaume e ogni volta abbiamo fatto ascoltare la Vostra Elegia, che è piaciuta enormemente: le portate fortuna”, scrive Saint-Saëns à Galland il 14 novembre 1920. Nel febbraio di quell’anno ne aveva realizzato una trascrizione per pianoforte solo, che eseguì per la prima volta il 6 agosto 1921 al Casinò di Dieppe.

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data di pubblicazione : 25/09/23



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