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Six Épigraphes antiques

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1. Pour invoquer Pan, dieu du vent d’été. – 2. Pour un tombeau sans nom. – 3. Pour que la nuit soit propice. – 4. Pour la danseuse aux crotales. – 5. Pour l’Égyptienne. – 6. Pour remercier la pluie au matin

Nel 1895 Pierre Louÿs pubblicò le proprie Chansons de Bilitis, presentate come traduzione di antiche poesie greche. Un inganno che contribuì al successo della raccolta presso un pubblico avido di paganesimo antico. Nel 1897-1898 Debussy compose tre mélodies sui testi dell’amico. Due anni dopo Louÿs gli propose di scrivere una musica di scena che accompagnasse dodici delle poesie. L’unica rappresentazione di queste Chansons de Bilitis recitate e mimate avvenne il 7 febbraio 1901. Il compositore riprese il materiale della musica di scena (che richiedeva due flauti, due arpe e una celesta) per elaborare le Six Épigraphes antiques (1914-1915). La versione originale per pianoforte a quattro mani fu eseguita a Ginevra il 2 novembre 1916 da Marie Panthès e Roger Steimetz. Debussy realizzò immediatamente una versione per un solo interprete. Indifferente a qualunque verità storica, traspose la propria visione di un’Antichità immaginaria, come nel balletto Khamma e ne Le Martyre de Saint Sébastien (musiche di scena per il mistero di Gabriele D’Annunzio). La musica, che inizia in un sognante clima pastorale, esprime poi la diffusa angoscia suscitata dalla visione della tomba. L’invocazione alla notte introduce una maggiore animazione, come per annunciare i movimenti volteggianti della danzatrice con i crotali Costei scompare dinnanzi ai sensuali e ipnotici ondeggiamenti dell’Egizia, sostenuti da smorzate scansioni di tamburello. Il gocciolio della pioggerellina precede la ripresa della melodia che aveva aperto il ciclo, suggerendo un ritorno alla vita diurna.

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data di pubblicazione : 25/09/23



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