Sonata per violoncello e pianoforte in si minore op. 27

“L’autore ha evidentemente voluto produrre un lavoro di carattere scolastico in omaggio a Vincent d’Indy, dal quale attinge la rigidezza elevata, la linea impeccabilmente autoritaria, la volontà rigorosa di bandire qualsiasi discutibile compromesso con le tentazioni delle facili attrattive e degli estenuati languori – una musica razionale, in cui l’andamento maestoso rimpiazza l’emozione, un discorso solidamente strutturato che persuade senza trascinare, un monumento il cui piano prospettico ha solo qualche raro rilievo.” Recensendo la prima esecuzione della Sonata per violoncello e pianoforte di Vierne da parte di Fernand Pollain e Marguerite Long il 10 febbraio 1910 alla Société nationale de musique, Tenroc – giornalista presso il “Guide musical” di Bruxelles – colloca Vierne, non senza malignità, nella scia di Vincent d’Indy e della Schola cantorum. Quel concerto aveva avuto luogo dopo che il compositore aveva subito un grosso smacco: professore aggiunto presso Alexandre Guilmant per molti anni, sembrava destinato a succedergli, nel 1911, alla testa della classe d’organo del Conservatorio, ma Gabriel Fauré, allora direttore, gli preferì Gigout, e fula Schola cantorum di d’Indy ad accogliere l’organista disilluso. Alcuni commentatori successivi, tra i quali il suo biografo Franck Besingrand, ritengono peraltro che questa sonata si avvicini a un “certo ideale alla Fauré, in virtù della grande sensibilità delle sfumature, di un’assoluta padronanza delle proporzioni e dell’architettura, di una superiore organizzazione delle idee musicali”. Conciliando così i poli opposti rappresentati da Fauré e d’Indy, la sonata si inserisce in modo naturale nel repertorio dei violoncellisti francesi del primo Novecento.