Trio n. 4 “Sérénade” op. 25

«La seconda parte di questa serenata è il minuetto con sordina che avevamo ascoltato l’anno scorso: collocato nel suo contesto naturale, questo affascinante minuetto ha fatto ancora più effetto, e non ci è più sembrato troppo breve, come quando l’avevamo ascoltato da solo. Tutta questa serenata è un’opera deliziosa, del tutto degna del Signor Reber, il primo compositore francese di musica da camera.» Con queste parole, il 5 maggio 1863, Johannes Weber, cronista del «Temps», rende conto di un’esecuzione del Trio n. 4 di Reber, svoltasi il 16 aprile nelle sale Érard, da parte di Achille Dien (violino), Alexandre Batta (violoncello) e Saint-Saëns (pianoforte). Pubblicato solo nel 1864 da Colombier, questo lavoro era dunque stato composto (almeno in parte) già nel 1862. Deve il suo titolo (stampato in corpo grande nella partitura) e la sua popolarità al secondo movimento, del resto rieseguito come bis nel concerto del 16 aprile 1863. È in effetti difficile resistere al soffuso lirismo di questo Allegretto. La sua malinconia discreta, dissimulata dietro l’eleganza del movimento di danza, caratterizza l’intero Trio, privo di accenti tragici. Nell’Andante del finale (unico segmento lento dell’intera opera), in re minore, l’alternanza tra i ritmi puntati del tutti e il canto veemente degli archi rende l’atmosfera più cupa, ma per breve tempo e senza creare un clima minaccioso. Pur collocando la sua Sérénade sotto il segno della chiarezza e dell’eleganza, Reber evita la monotonia, in quanto l’alacrità del ritmo, le iridescenze armoniche e gli arabeschi melodici, passando da uno strumento all’altro, mettono le ali a un’opera che evita ogni forma di eloquenza, “senza nulla, in essa, che risulti pesante o artificioso”.