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Valses intimes

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Contrariamente ad altri compositori, Théodore Dubois non abusò del valzer: qualche brano sparso qua e là nelle sue partiture, una manciata di raccolte in cui si cimenta nella danza emblematica del romanticismo. Pubblicate nel 1909 e dedicate al pianista Georges de Lausnay e a sua moglie, le sue Valses intimes devono sicuramente tale aggettivo alla loro brevità, alla limpidezza di una scrittura che rifiuta il virtuosismo e alla delicata eleganza che le contraddistingue. Tuttavia, anche se l’ultimo brano si dilegua in punta di piedi, in triplo pianissimo, esse non si limitano a esprimere intimità: si pensi, in particolare, agli slanci cromatici del n. 2, al ritmo febbrile del n. 3, agli accordi che sottolineano la fine delle frasi del n. 5. Peraltro, è possibile che Dubois abbia concepito questa sua catena di danze come un ciclo: lo suggerisce il percorso tonale. L’opera attacca in la bemolle maggiore e si conclude nella stessa tonalità. Al centro della partitura, le tonalità si succedono per intervalli di terza maggiore o delle tonalità relative (mi maggiore per il n. 2, do diesis minore per il n. 3 – solo brano in modo minore –, la maggiore e re bemolle maggiore per i nn. 4 e 5). Perdipiù, occorre sottolineare l’omogeneità dei tempi (tra 60 e 69 battiti del metronomo per battuta); solo il penultimo si concede una velocità leggermente superiore (78 battiti per ogni minima puntata). L’abbondanza di emioli (sovrapposizioni tra il ritmo binario e quello ternario) svolge qui una  funzione unificante, rafforzata da alcuni motivi che passano quasi impercettibilmente brano all’altro: per esempio, l’anacrusi dell’ultimo valzer ha origine nel brano precedente.

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data di pubblicazione : 25/09/23



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