La Vie parisienne

Mentre Parigi si appresta ad allestire la sua seconda Esposizione Universale (aprile-novembre 1867), Jacques Offenbach e i suoi librettisti preparano per il teatro del Palais-Royal uno spettacolo calibrato con cura per attirare il pubblico in arrivo per la grande celebrazione dell’industria. Rompendo con la distanza storica che fino ad allora aveva caratterizzato le sue opere buffe, Offenbach mette in musica il mondo a lui contemporaneo. Per mettere uno specchio leggermente deformante di fronte al pubblico internazionale giunto a Parigi per gustare i piaceri della capitale, egli si avvale dello sguardo acutamente satirico di Meilhac e Halévy, i quali moltiplicano le allusioni dirette ai progressi tecnologici (in particolare, l’arrivo in treno), ai luoghi di divertimento parigini e ai tipi di persone che vi si possono incontrare. Inizialmente concepita per un pubblico abituato al vaudeville, la partitura si avventura raramente al di là delle tonalità più facili (fa e sol maggiore), si basa essenzialmente sui giochi ritmici e privilegia melodie semplici ed efficaci. La scommessa si rivela vincente: La Vie parisienne riscuote un successo fenomenale sin dalla prima rappresentazione (323 rappresentazioni fino all’autunno del 1869). Si sarebbe potuto pensare che questa gioiosa apocalisse sarebbe stata spazzata via dalla caduta del Secondo Impero; al contrario, una seconda versione, rimaneggiata nel 1873 per il Théâtre des Variétés, sancisce l’ingresso definitivo dell’opera nel repertorio lirico. Amputata del quarto atto, ma sostenuta da una scenografia lussuosa e da un cast di tutto rispetto, questa seconda Vie parisienne rinnova il successo della prima.