Lancelot

“So bene che cosa manca a Lancelot, ci diceva durante una delle ultime prove d’insieme... Quattro atti sono già vecchi ancora prima di cominciare!” Riferite da Adrien Bernheim nel 1903, queste parole testimoniano perfettamente il dramma di Victorin Joncières al momento della prima rappresentazione della sua ultima opera. Composta alla fine degli anni Ottanta, accettata da Eugène Bertrand all’inizio del suo mandato come direttore dell’Opéra di Parigi (1893), l’opera andò in scena solo nel 1900, sotto la direzione di Pedro Gailhard. Da competente osservatore dell’attività lirica nella capitale, Joncières conosceva bene la corsa sfrenata verso la modernità musicale affermatasi a cavallo dei due secoli. Cinque giorni dopo la trionfale prima della Louise di Gustave Charpentier, quella di Lancelot non poteva che apparire anacronistica, sia per il soggetto medievale sia per la sua ambizione di mantenere viva la fiamma del grand opéra. La recezione dell’opera –nella stampa del tempo come nei libri di storia della musica – si focalizza tuttavia sul suo rapporto con Wagner: se il ricorso alla leggenda arturiana sollecita il confronto con il Lohengrin o con il Parsifal, quello che soprattutto si nota è l’evidente rifiuto da parte di Joncières, di piegarsi ai progressi estetici decantati nella Tetralogia. E così, dopo sette repliche, Lancelot sparisce dal cartellone dell’Opéra per non farvi più ritorno, nonostante le suppliche di Joncières al ministro della Pubblica istruzione e delle Belle arti. Oggi possiamo sicuramente gettare su quest’opera uno sguardo nuovo, non più per esaminarne l’adesione alla modernità del suo tempo, bensì semplicemente per ascoltare le bellezze dimenticate che racchiude.