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Le Calife de Bagdad

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Non ancora venticinquenne quando si leva il sipario sul suo Calife de Bagdad, il 16 settembre 1800 al teatro Favart, Boieldieu ha nondimeno già dato prova di sé nel campo dell’opéra-comique con La Fille coupable (1793), La Famille suisse (1797), Zoraïme et Zulnar (1798) e La Dot de Suzette (1798). Ma è con questa nuova partitura in un atto, su libretto di Claude de Saint-Just, che egli si impone definitivamente nella scena lirica: alla metà del XIX secolo, Le Calife de Bagdad poteva vantare oltre ottocento rappresentazioni a Parigi. Del resto, non gli mancava nulla per incantare il pubblico. L’ameno intrigo sentimentale, che sfrutta la moda dell’esotismo (il califfo Isauun salva la bella Zétulbé, ma cela la propria identità perché non vuole essere amato per il suo status), si svolge su una musica piena di freschezza e vivacità. Nei sette numeri ampio spazio è riservato alle scene d’insieme e ai cori, trattati in svariati modi: si pensi per esempio alle repliche parlate intercalate nel Coro n. 5 (nel quale le signore sono vestite da eunuchi), o al Coro n. 6, che inizia come un’aria di Isauun per proseguire come un insieme con coro. La Romanza di Zétulbé n. 4 corrisponde alla definizione che Jean-Jacques Rousseau aveva dato di tale genere («uno stile semplice e toccante»). Quanto all’aspetto propriamente musicale, Boieldieu limita l’esotismo a qualche tocco turchesco delle percussioni; in compenso, egli coltiva i «gusti riuniti» nell’Aria di Késie n. 3, in cui l’amica di Zétulbé tocca via via in successione gli stili francese, italiano, spagnolo, scozzese, tedesco e inglese.

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data di pubblicazione : 25/09/23



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