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Molto adagio pour quatuor à cordes « Mon âme est triste jusqu’à la mort »

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Questo Molto adagio per quartetto d’archi, composto da Lekeu nel 1886-1887, è opera di un compositore quasi autodidatta, ma sotto l’influsso dei Quartetti di Beethoven. Con tutta l’insolenza della giovinezza, all’epoca il musicista ritiene che vi sia «ben altro da trarre dal quartetto per archi che un’opera perfetta e regolare alla maniera di Mozart ou di Haydn» – affermazione significativa, che rivela la sua aspirazione a una scrittura tormantata, assai lontana dalla limpidezza e dall’equilibrio dei classici. Composto senza soluzione di continuità, il suo Molto adagio si ispira alle parola di Cristo nell’orto di Gethsemani: «L’anima mia è triste fino alla morte» (Matteo 38, 26). Il brano è una meditazione sulla sofferenza e sulla morte, e sullo sgomento che deriva dal confrontarvisi. L’indicazione rivolta agli interpreti è esplicita: Molto adagio sempre cantante doloroso. Tutto, in questa partitura dal tono di compianto, concorre alla stranezza del discorso musicale. Dopo la cupa scansione introduttiva del violoncello, la scrittura è stanca, formata da linee allungate che creano l’impressione di un rubato generale. Lekeu accentua questa sensazione di destrutturazione facendo uso di una battuta a cinque tempi, assai inconsueta. L’armonia è tesa, senza peraltro raggiungere l’esasperata espressività che è tipica di Lekeu; il sentimento dominante è la contemplazione (non si può non pensare alle Sette ultime parole del nostro Redentore sulla croce di Haydn, per quartetto, in cui alcune pagine attestano un raccoglimento analogo). La partitura si conclude in modo spoglio e disadorno su una ripresa della scansione iniziale del violoncello.

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data di pubblicazione : 25/09/23



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