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Solitude

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Romanza senza parole per violoncello e pianoforte.

Mentre componeva Solitude, Rita La Villette avrà pensato alla mélodie con lo stesso titolo scritta da Charles Gounod su una poesia di Alphonse de Lamartine alla fine degli anni Quaranta? In tutti i casi, in questo brano per violoncello e pianoforte si nota un analogo respiro malinconico, che sembra attingere ai Lieder di Franz Schubert. Nel catalogo manoscritto delle proprie opere, l’artista lo definisce romance sans parole, datandone il compimento al 1887. La pubblicazione ha luogo dieci anni dopo, sotto il nome di “R. Strohl” (nel frattempo si era sposata) e col sottotitolo “Rêverie pour piano et violoncelle (ou violon)”. L’alternativa del violino proposta dall’editore Enoch intende sicuramente allargare il pubblico potenziale del brano, ma questa Solitude ha tutto da guadagnare a essere interpretata dallo strumento per cui fu originariamente concepita. Strohl sfrutta l’estensione della tessitura del violoncello e ne utilizza appieno la capacità lirica, pur imponendogli di essere “dolce con un grande senso di tristezza”. Per far sentire questo spleen, ne estende al massimo le linee melodiche, mentre il pianoforte si limita a sostenerne il lamento con una formula ostinata. La sezione centrale apporta tuttavia la speranza di una discussione tra i due strumenti, con l’abbozzo di una frase bien chantée alla mano destra. Ma alla fine l’atmosfera iniziale ritorna, riportando il violoncello al primo tema. L’ultima comparsa del motivo “ben cantato” al pianoforte ha luogo allorché il solista si perde in lunghi, tenui pianissimo. Non è più il momento di immaginare un duo: si tratta piuttosto di un ricordo che emerge in un singhiozzo.

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data di pubblicazione : 04/10/23



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